Facciamo una passeggiata ne I Giardini di Pomona, il conservatorio botanico nelle campagne della Valle d'Itria, e scopriamo la sua collezione di alberi di fico e non solo
“I Giardini di Pomona… che cos’è?”
Mi avevano appena regalato la guida della ciclovia
dell’Acquedotto pugliese e da brava curiosona ne stavo analizzando il percorso.
Non potevo percorrerla tutta, non subito almeno: è un percorso bello lungo,
bisogna organizzarsi per bene per intraprendere quel viaggio. Nessuno mi
vietava però di percorrerne un tratto, magari dalle mie parti, e fermarmi in
qualche posto interessante.
“Ah, guarda! C’è la tappa che parte da Locorotondo e, facendo una deviazione, posso visitare I Giardini di Pomona…il nome ispira…”
Sulla ciclovia ancora non ci sono stata, c’è sempre qualcosa
che si frappone fra me e lei, ma quel nome, I Giardini di Pomona, mi
è rimasto impresso e ho deciso di andarci, non come una deviazione, ma come
precisa destinazione.
Un vialetto ci accompagna nello spiazzo dove i visitatori
vengono accolti e riuniti per le visite. Sullo stesso cortile danno dei trulli,
appartamenti per ospitare i turisti, e davanti a una loro porta, a un tavolo,
della gente parla serena sorseggiando una birra. È l’immagine della calma
pomeridiana in piena Valle d’Itria.
Prima di partire con il tour, Paolo Belloni, il fondatore di
questo conservatorio botanico, fa
gli onori di casa e ci spiega come nasce il suo progetto, qual era il suo
intento quando, 16 anni fa, ha lasciato Milano per trasferirsi in Puglia e
dedicarsi anima e corpo ai Giardini di Pomona.
La visita de I Giardini di Pomona
Inizia la perlustrazione dei rami a caccia di fichi maturi da
raccogliere, un’attenta analisi di quelli che sembrano papabili; quelli che
possono ancora maturare un po’ vengono lasciati, la pianta ha ancora del lavoro
da fare con loro. Tra un San Biagio, un Unghiarolo e un Nerucciolo d’Elba la
merenda è fatta con una scorpacciata di fichi, in un viaggio tra le diverse
varietà di frutti e nel passato di una Ilaria bambina e sgambettante in
campagna.
Ci spostiamo in un’altra zona, quella che ospita la “star” del conservatorio. Il botanico giapponese Masayuki Ebinuma trovò tra le macerie della bomba atomica di Nagasaki del 9 agosto 1945 un germoglio di kaki sopravvissuto. Lo prese, lo accudì, fino a portarlo a fruttificare.
Dai semi
dei suoi frutti vennero piantati altri alberi. Oggi quel kaki si trova nel
conservatorio al centro di un labirinto di lavanda, a simboleggiare il percorso
tortuoso che bisogna attraversare per arrivare alla pace. Questo angolo dei
giardini è una gioia per i sensi con un gioco di viola e verde e il profumo
inebriante della lavanda.
Si ritorna ripercorrendo il conservatorio a ritroso: lasciamo la foresta alimentare, il suo accumulatore d’acqua, che lavora insieme ai muretti a secco; scendiamo dalla collina baciata dai raggi aranciati del sole che tramonta; salutiamo il kaki nel suo personale campo di lavanda; ci aggiriamo intorno agli alberi di nocciolo e pistacchio, avvolti dal profumo del rosmarino, del timo, del lemon grass, della ruta, della melissa e della canfora; ringraziamo gli alberi di fico per i loro squisiti doni.
Visitare il conservatorio è come passeggiare in un giardino
con il padrone di casa che ti mostra con orgoglio la bellezza delle sue piante,
ma senza pavoneggiarsi, perché sa che è tutto merito della natura.
Con Paolo Belloni ho anche fatto una chiacchierata sul suo importante progetto e ne è venuta un’intervista. Se sei curioso di sapere come nasce questo progetto, su quali valori si regge e quali attività vengono svolte nel conservatorio, ti invito a leggerla qui.
Ora, dimmi, hai mai sentito parlare di un conservatorio botanico così? Ne hai mai visitato uno?
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