Cosa sono le pettole? Scopriamo questo cibo tradizionale, che è diventato un simbolo del periodo natalizio nell'area di Taranto.
La pettola. Un cuscinetto di pasta soffice e calda. La prendi da un angolino con la punta di pollice e indice: è fresca di frittura, sai che è bollente, ma sei disposta a rischiare per lei. La avvicini alla bocca e la addenti, arricciando le labbra per non scottare almeno loro e “crock”. La sottile crosticina non fa alcuna resistenza: affondi i denti nel suo cuore morbido.
Tutto ciò mentre tua madre
ti sgrida per averle rubato la pettola appena tirata fuori dall’olio bollente e
vede la tua faccia contorcersi nella battaglia contro il calore nella bocca.
Tutti gli anni di questo periodo la scena appena descritta si
ripete. Come vuole la tradizione nell’area della provincia di Taranto, Santa Cecilia sancisce l’inizio del periodo natalizio e lo si
festeggia preparando le pettole. Se vuoi saperne di più dei festeggiamenti per
Santa Cecilia, ti lascio qui il link al post dedicato.
Cosa sono le pettole?
Ma torniamo alle pettole: cosa sono? Si tratta di palline di pasta lievitata e fritta: una volta messo nell’olio, il pezzetto si gonfia come una nuvoletta.
Possono essere vuote, ripiene (in casa, per esempio, i ripieni più gettonati sono con i funghi, il cavolfiore e il baccalà) oppure dolci e aromatizzate al limone.
Proprio per la loro sofficità e forma si dice che rappresentino il cuscino di
Gesù Bambino, motivo per cui vengono preparate per tutte le giornate festive
del periodo natalizio, anche se, diciamocelo, ogni scusa è buona per farle (e
mangiarle!).
Le origini delle pettole
Leggenda narra che le prime pettole vennero fatte per errore. Una signora di Taranto si alzò presto, come tutte le mattine, e preparò l’impasto per il pane e lo mise a lievitare. Nel frattempo sentì musiche di zampogne, cornamuse e ciaramelle venire dalla strada: erano i pastori che, scesi dall’Abruzzo con le greggi per la transumanza, erano arrivati a Taranto.
Come incantata da quelle melodie, la signora scese in strada e seguì i pastori. Al suo ritorno a casa si accorse che l’impasto per il pane aveva superato il punto di lievitazione e non era più utilizzabile per lo scopo originario.
Nel frattempo i suoi bambini si erano svegliati e dovevano fare colazione: decise, allora, di friggere l’impasto e lo presento come “pettole” (dal termine “pitta”, che in tarantino vuol dire focaccia. “Pettola”, quindi, vorrebbe dire focaccina).
Come è facile immaginare, ebbero un gran successo con
i bimbi che decisero di portarne anche ai pastori in dono, come ringraziamento
per aver allietato la mattinata con la loro musica.
Ancora oggi rivive quell’atmosfera nella notte di Santa
Cecilia. Non sono più i pastori abruzzesi a suonare, ma in loro vece la banda percorre le vie della città. Anche lo spirito di condivisione sopravvive tra la
gente: negli atri dei palazzi, nel centro storico, si friggono e mangiano
pettole in comunione e allegria.
Purtroppo, da quando ho scoperto di essere celiaca, non posso
permettermi di partecipare a questi eventi, ma non rinuncio certo alle
tradizioni, soprattutto quando sono così buone. Abbiamo messo a punto una
ricetta per delle pettole perfette senza
glutine. Visto che la cucina non è esattamente il mio campo, ti rimando
alla ricetta di Stefania di Tra monti, mari e gravine (che è anche colei che mi
sgrida quando le rubo le pettole appena fatte, come scrivevo all’inizio).
Spero che questo tuffo nei piatti tradizionali abbia portato
un po’ di atmosfera natalizia anche da te e, se farai le pettole, fammi sapere
come sono venute e se ti sono piaciute.
Commenti
Posta un commento
Feel free to leave a comment!
I would be glad to know your opinion! ;)
Thank you! :)