«Ave Maria, piena di grazia…»
I raggi del sole filtrano attraverso i vetri
gialli dei finestroni e i marmi barocchi della cappella del Sacramento risplendono di un’aura color dell’ambra.
Dalla fila di seggiole nere, un coro di anziane recita il rosario prima della
messa della sera. Per tutto il giorno le voci straniere dei turisti in visita a
Martina Franca hanno risuonato tra i
banchi della chiesa. Adesso si sente solo la nenia delle orazioni: la basilica di San Martino è ritornata un
luogo di preghiera.
È questo il momento migliore per venire qui.
Bisogna entrare in punta di piedi, raggiungere la cappella alla sinistra
dell’altar maggiore e passare sotto la tenda di broccato giallo; poi, in
silenzio, sedersi ad ammirare. La grande tela è lì di fronte, proprio al centro
dell’abside: l’Ultima cena di Domenico Carella.
Le donne enumerano uno dopo l’altro i Misteri
luminosi e ecco che le figure del cenacolo potrebbero prendere vita. Due angeli
aprono le cortine purpuree, come un sipario sulla scena del cenacolo. Ecco la
sala con il grande tavolo rotondo. Cristo è al centro, il pane levato per la
benedizione, e i discepoli gli sono tutt’intorno. Tre inservienti carichi di
piatti si affaccendano; c'è un cagnetto nascosto sotto il tavolo: lecca
tranquillo gli avanzi della cena. Nuvoloni color ocra si intravedono in
lontananza, tra due coppie di colonne, e schiere di angeli discendono proprio
sul capo di Cristo. Giuda è sulla sinistra, davanti a tutti, lontanissimo dal
Maestro: tanto gli altri discepoli hanno coloriti rosei e gentili, quanto il
suo incarnato è verdognolo e il suo aspetto trasandato. «Questo è il mio
corpo», sembra dire Gesù, ma Giuda si gira dall’altra parte. Fra un attimo si
alzerà ed andrà via.
Chi apprezza l’arte
barocca pugliese lo conoscerà di certo. Martina Franca, Francavilla
Fontana, Taranto, Lecce, Conversano, Massafra, Castellaneta: in quasi ogni
città dalla terra di Bari fino al Salento c’è almeno un dipinto firmato da
Domenico Carella. L’Ultima cena che si
conserva qui fu il suo ultimo dipinto. Lo realizzò che aveva superato gli
ottant’anni. Era il 1804. Il pittore sarebbe morto nel 1813, dopo aver diffuso
in Puglia la pittura barocca di scuola partenopea. Francesco Solimena fu il suo
maestro, durante gli anni giovanili passati a Napoli. Da lui apprese la cura della composizione e l’impiego attento
delle architetture come fossero scenografie. Una volta tornato nella sua
città natale, Francavilla Fontana, e dopo a Martina Franca, Carella diventò uno
degli artisti più apprezzati dalla committenza locale.
«Gloria al Padre…»
Dalle ultime file di sedie lo sguardo può spaziare
bene sui marmi multicolori e sulle statue della cappella. Porfido, travertino,
intarsi dorati. All’ingresso ci sono due coppie di colonne: a guardarle da qui
sono proprio come quelle del dipinto di Carella. In alto la cappella culmina in
una cupola.
Tra le nuvole, sospinti dal vento che gonfia le
vesti, emergono quattro santi. “In principio era il Verbo” si legge sul libro:
è Giovanni; Marco ha il leone vicino a sé e Matteo offre il suo vangelo.
Intorno a Luca volano gli angeli, ma lui non ci bada; Maria gli sta seduta
davanti col Bambino in braccio; è indaffarato con tela e pennelli, intento a
farle il ritratto.
Anche i quattro evangelisti che decorano le vele della cupola sono opera di Carella. Le realizzò nel 1785, ben prima
dell’Ultima cena. Nel raffigurare
Luca, recuperò l’antica iconografia che lo voleva pittore e autore del ritratto
della Vergine. Forse un modo per ingraziarsi la benevolenza del patrono degli
artisti.
Una donna entra nella cappella diretta all’altare
e i suoi passi svelti rompono la monotonia della preghiera. Sale sul
presbiterio e accende i ceri dell’altare. La messa sta per cominciare. Al suono
della campanella tutti si alzano: il sacerdote è entrato.
Nice cathedral
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