Una passeggiata nella storia di Manduria per conoscere i Messapi, un popolo fiero e ricco. Ripercorriamo le loro tracce nel Parco Archeologico di Manduria
Colonne
antiche come un tempio classico, sul muro lo stemma della città di Manduria e solo un cancello a separarci
da un mondo lontano. È il passaggio che ci permetterà di conoscere la storia
passata di Manduria e del suo antico popolo, i Messapi. Inizia da qui la visita al Parco Archeologico di Manduria, ancor prima di varcare la sua
soglia. Anna, la nostra guida, ci tiene a farci sapere che ciò che abbiamo
davanti, questa scenografica entrata, è un falso storico e i blocchi alla base
delle colonne provengono dalle mura messapiche. Fa sorridere che per proteggere
un bene, siano state prese parti di esso. Anna però vuole mettere subito le
cose in chiaro: solo e soltanto questo non è autentico; tutto ciò che vedremo
oltre il cancello è vero e documentato, oltre il cancello c’è la verità dei
Messapi.
Attraversiamo
l’inferriata e ad accoglierci c’è un pozzo
dal quale sbucano i rami di un mandorlo.
Sembra un’immagine fiabesca, un pozzo con
dentro un albero, ed è la trasposizione fisica di qualcosa di già visto. Ma
dove? Poco fa, all’entrata! Lo stemma di
Manduria riporta un pozzo dal quale esce la chioma di un mandorlo. Ai lati
ci sono le lettere F e M. Originariamente stavano per Famiglie Manduriane, con riferimento
alla copertina del Librone Magno, in cui erano elencate tutte le famiglie di
Manduria. Successivamente quelle iniziali vennero reinterpretate con Fons Manduriae (Fonte di Manduria).
Ed
eccolo il Fonte Manduriano, che dà
il benvenuto ai visitatori del parco. Questo albero è anche protagonista di
alcune leggende. Una fra tutte è quella delle mandorle d’oro. Le donne
messapiche usavano appendere degli oggetti in oro ai suoi rami, come pegno
perché i propri uomini in guerra potessero tornare presto a casa. Sotto i raggi
del sole i monili luccicavano tanto da far credere agli stranieri che questa
terra fosse talmente ricca che la natura stessa producesse oro. È uno dei tanti
miti che ci lascia comprendere quanto la civiltà dei Messapi e la loro terra
fosse fiorente, al punto da rientrare spesso tra gli desideri di conquista di
altri popoli.
Il fonte Plianiano
Sebbene questo pozzo sia rappresentato sullo stemma e sia diventato uno dei simboli della città, il vero fonte si trova al di sotto. Anna ci fa strada e ci accompagna a una scala che conduce in una cavità sotterranea.Ci sentiamo un po’ come Dante che scende nei gironi dell’Inferno
guidato da Virgilio. Noi però non siamo negli inferi, al contrario, ci troviamo
in un luogo meravigliosamente suggestivo. Nel centro di una grande grotta si
erge sola e fiera, sotto un fascio di luce che penetra dal lucernaio, un’altra
costruzione circolare, che custodisce e protegge una sorgente. Chiudiamo gli occhi e lasciamo che la sensazione di
fresca umidità si posi sui nostri visi e che l’acqua ci parli: gocce e
sciacquii riecheggiano nella caverna, dando l’impressione che sia in corso un
allegro dialogo, tutto intorno a noi. È un posto pacifico e misterioso: è
palpabile l’impressione di trovarci in luogo importante, una volta addirittura
sacro. Siamo al cospetto del Fonte
Pliniano.
È
chiamato così perché Plinio il Vecchio ne parlò nella sua Naturalis Historia,
descrivendolo come una polla d’acqua il cui livello non diminuiva mai,
nonostante i manduriani attingessero da qui le proprie scorte. Questo aspetto
venne visto come qualcosa di miracoloso, di magico. Dopo averci fatto
assaporare la magia del luogo, la nostra guida ci spiega il perché del
fenomeno: ci sono tre vasche nella grotta, collegate tra loro da sorgenti
sotterranee: creano un sistema naturale che funziona come i vasi comunicanti. Così
si spiega come mai sembra che il rumore dell’acqua provenga da ovunque e da
nessun punto ben definito. Ai tempi dei Messapi questo era un luogo dedicato
alla divinità dell’acqua, l’elemento
associato al femminile. Si diceva che grazie all’acqua di questa sorgente, le
donne messapiche diventassero tanto forti da riuscire a sollevare i blocchi
delle mura (enormi, come vedremo tra poco) e i loro capelli fossero resistenti
quanto delle funi. Sono certamente leggende, ma rendono l’idea di quanto importante
la fonte fosse per i Messapi: in una zona come la Puglia, dove l’acqua in
superficie scarseggia (ma abbonda nel sottosuolo), il luogo in cui essa
riaffiorava diventava sacro.
Nel tempo anche i viaggiatori del Grand Tour si
sono recati a Manduria dopo aver letto del Fonte Pliniano. Quello era anche il
periodo in cui si credeva che quest’acqua fosse addirittura miracolosa e che
potesse guarire i malati. Ne è la prova un disegno in cui si vedono scendere
nella grotta tre figure che trasportano una barella, realizzato da Ducros nel XVIII secolo, quando
l’artista accompagnò alcuni viaggiatori attraverso il Regno delle Due Sicilie.
Questo
è solo l’inizio del nostro viaggio alla scoperta dei Messapi. Dopo esserci
immersi nella storia leggendaria di uno dei simboli più importanti della città,
in questa atmosfera di sacralità pagana, possiamo ritornare in superficie e
conoscere meglio il popolo messapico.
Le Mura messapiche e il fossato
Ci spostiamo per andare verso le Mura della città. Questo è il parco megalitico più grande della zona: sebbene Manduria fosse un abitato di medie dimensioni, qui è dove oggi si trovano le maggiori evidenze archeologiche.Le
mura di Manduria hanno garantito la
sicurezza, l’indipendenza politica e amministrativa della città, difendendola
dagli attacchi degli Spartani, che tentavano di conquistare la città per
ampliare il territorio della Chora tarantina.
Il
complesso difensivo era costituito da tre possenti cerchie murarie e da un
fossato che si apre in tre punti, in corrispondenza delle vie che mettevano in
comunicazione Manduria con Lecce, Brindisi e Oria, le maggiori città con cui
intratteneva rapporti commerciali. Questi varchi rappresentavano dei punti
vulnerabili, ma valeva la pena rimetterci in difesa per garantire quei floridi
scambi e i reperti ritrovati sono la testimonianza che quei traffici fossero
davvero molto proficui. Sappiamo che in corrispondenza di quelle vie c’erano
delle porte (e infatti sono chiamate Porta Lecce, Porta Brindisi e Porta Oria):
ce lo dicono le rocce stesse, che conservano i solchi degli stipiti e del
battente centrale. Ci informano in realtà che ogni apertura era controllata da
una doppia porta, rafforzando così quei punti deboli. La nostra passeggiata
nella storia continua nel fossato. Anna scende delle scale lungo le mura
interne, si infila in un’apertura nella parete e sbuca nel fossato. La
seguiamo.
Era un passaggio segreto che un tempo era chiuso da una lastra di
pietra, che veniva spostata in caso di pericolo. Questo ci fa capire che il fossato
non era pieno d’acqua (abbiamo detto che in Puglia non ce n’è poi così tanta).
Ma allora che ci fanno tutte le ostriche fossilizzate che tappezzano la parte
più bassa delle mura? Sono fossili che
risalgono a quando questa zona della Puglia ancora non era emersa dal mare e
ancora oggi adornano queste rocce. Continuiamo a camminare in questo letto
verde prato finché non arriviamo a un punto in cui il fossato si restringe,
rientra in maniera definita e geometrica, come se chi lo stava scavando avesse
girato intorno a qualcosa. Cosa poteva essere così importante da sacrificare
parte dell’efficienza difensiva del fossato?
È possibile che si trattasse di
una torre di avvistamento. Lì dove sembra esserci un punto debole nella difesa,
in realtà c’è un rafforzamento. Nulla era lasciato al caso! Proseguiamo ancora
la nostra passeggiata finché non arriviamo a uno dei punti più importanti e
ricchi di conoscenza del parco archeologico, il nucleo sepolcrale.
La nostra passeggiata alla scoperta della civiltà dei Messapi e della storia di Manduria
continua nella seconda parte di questo racconto.
Grazie di cuore Ilaria Barulli!
RispondiEliminaTi aspettiamo a braccia aperte per altre avventurose scoperte!
Grazie a voi Ileana!
EliminaNon vedo l'ora di tornare a trovarvi!