Molte volte ho sentito fare la domanda: “Perché viaggi?”
Le risposte che ho ascoltato e letto sono state delle più
varie, le ragioni sempre più che valide e condivise. Quello che mi chiedo
adesso è: “Perché scrivo di viaggi?”
La mia risposta potrebbe risultare forse un po’ impopolare,
ben poco poetica. Tutti questi anni, dall’apertura del blog ad oggi, ho sempre
sentito dire che chi scrive di viaggi lo fa per il piacere di condividere
l’esperienza, che quasi ne sente il bisogno, un impulso irrefrenabile che dice:
“scrivi, scrivi, scrivi.”
Provo una leggera invidia per costoro, perché penso che per
loro sia estremamente naturale mettersi davanti al pc e scrivere del loro
viaggio. Sì, provo invidia, perché io questo impulso non ce l’ho. Io amo
viaggiare, certo. Entro in crisi se resto ferma per troppo tempo. La
condivisione a mezzo blog e social network tuttavia non è tra le cose che mi
vengono più spontanee. Non faccio fatica alcuna ad ammettere di essere pessima
in queste faccende. Può darsi che sia perché sono più legata all’idea di
condivisione invitando gli amici a casa per mostrare le fotografie e raccontare
il mio viaggio dal vivo.
E allora perché scrivo di viaggi?
Giusto, arriviamo al punto. Scrivo di viaggi perché è stata
la mia materia di studio per più di tre anni all’università, come prodotto
dell’industria del turismo. Una cosa che andava programmata, costruita e
venduta. Una descrizione cruda che
taglierebbe le gambe a qualsiasi viaggiatore con un’idea romantica del viaggio
come me.
Successivamente, durante il corso di laurea magistrale, il
viaggio è passato in secondo piano per focalizzarmi principalmente sulle
relazioni tra i popoli che entrano in contatto tra di loro tramite esso e la mia attenzione è stata rapita dall’elemento
antropologico dell’esperienza.
Quest’ultimo aspetto era quello di cui realmente mi
interessava scrivere, anche se poi ammetto di essermi lasciata trasportare dai trends e dal
possibile “business” che può scaturire da un blog di viaggi, mettendomi
nuovamente di fronte ai meccanismi dell’industria del turismo, che già in
passato aveva tolto parte della magia a quel concetto che mi aveva accompagnato
nel corso della vita.
Quello di cui voglio scrivere non è il patrimonio fisico che
un luogo offre, non solo per lo meno. Un monumento, una bellezza naturale
possono offrire innumerevoli spunti di studio e riflessione su ciò che
realmente rende un posto unico: la cultura di un popolo, la storia, l’arte.
Sono cose che richiedono una preparazione diversa dall’organizzazione pratica
di un viaggio. Bisogna studiare, documentarsi, pena il non capirci
assolutamente nulla di ciò che si sta visitando.
Ricordo che una volta, dopo aver finito l’esame, il
professore di filologia germanica mi chiese perché mai avessi scelto il corso
turistico, avendo io una predisposizione per la didattica. Allora la domanda mi
spiazzò. In seguito capii il senso del percorso che avevo intrapreso: quel
corso mi aveva permesso di aprire gli occhi sul mondo del turismo, di capirne
le dinamiche; le altre materie, prettamente umanistiche, avevano stuzzicato la
mia curiosità e dato i mezzi per soddisfarla. Da persona caotica quale sono ho
mescolato tutto ciò che ho imparato.
Non penso di essere la persona più indicata a dare consigli
su come organizzare un viaggio: c’è chi è molto più bravo di me, più schematico
e preciso. Pare invece che io sia più portata a trasmettere ciò che so, quindi,
senza alcuna pretesa e senza prendermi troppo sul serio, mi accingo nell’impresa di fornire quelle informazioni che contribuiscono a definire l’identità
di un luogo, con la sua storia e le personalità che lo hanno segnato, compiendo
un viaggio che non si limita alla sola dimensione spaziale. Ecco perché scrivo di viaggi!
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RispondiEliminaat single place.
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